Parco archeologico Falerio Picenus: Storia e Ricerche

Esplorando il Parco archeologico Falerio Picenus: dalle radici romane alle scoperte moderne

Storia del comprensorio

Prima di Roma e la viabilità antica

Ci troviamo nel cuore del territorio Piceno, a poca distanza da centri che hanno restituito reperti e strutture straordinarie (Belmonte Piceno, Grottazzolina, Montegiorgio e Fermo, quest’ultima abitata dai primi Etruschi, i Villanoviani), tuttavia Falerio ancora tace per questo ambito cronologico, se non per il rinvenimento di reperti sporadici che, allo stato attuale delle conoscenze, ci possono permettere di postulare soltanto una frequentazione di questi luoghi.

La prima notizia certa sulla zona è del 90 a.C. quando, ai piedi del Mons Falarinus, l’attuale colle che ospita Falerone, i Romani guidati da Gneo Pompeo Strabone subirono una inaspettata sconfitta proprio da parte dei Piceni (App. I, 47-48), mentre si stavano recando a Fermo. Già questa notizia ci parla dell’importanza del comprensorio nella viabilità antica: Falerio risulta adagiata su un fertile terrazzo alluvionale del medio corso del fiume Tenna, ed era posta lungo una importante diramazione della via Salaria (chiamata Salaria Gallica) che proveniva da Asculum (Ascoli Piceno) e raggiungeva Urbs Salvia (Urbisaglia). In corrispondenza di Falerio correva anche un importante asse viario in senso est-ovest che si incrociava qui col primo e univa la costa adriatica ai centri romani della fascia pedemontana interna, esso costituiva l’asse principale dell’organizzazione agraria del territorio (centuriazione).  Un ruolo centrale nella viabilità che durò lungamente nel tempo, come evidenziato anche dal rinvenimento nel circondario di ben sei pietre miliari (quei cippi che erano posti ogni miglio romano -1480 m circa- lungo le strade antiche e fornivano costantemente informazioni ai viaggiatori del passato) databili fra il 305 ed il 365 d.C.

Falerio Picenus

Dopo l’episodio bellico del 90 a.C., legato alla famosa guerra sociale, a Falerone sorse un centro demico di una certa importanza già in età Triumvirale (ai tempi di Cesare, si pensa nel  49 a.C.). Di esso però conosciamo poco poiché sopraffatto dalla sua evoluzione in chiave monumentale avvenuta sotto Augusto e i suoi successori. Qui difatti Ottaviano Augusto stanziò un contingente di veterani che lo avevano aiutato a sconfiggere Antonio e Cleopatra ad Azio, nel 31 a.C. Questi dovevano essere ricompensati con terre, ma anche con strutture che permettessero loro di vivere come a Roma, avere gli stessi diritti e qualità di vita degli abitanti della capitale. È così che Falerio si dotò di strade basolate, di un elegantissimo teatro, un tempio di cui emerge il podio fra le vecchie case del paese, ben due imponenti cisterne, di cui una particolarmente elegante, un tempo decorata con marmi ed eleganti statue, di un anfiteatro e le ultime ricerche stanno dimostrando anche di un foro monumentale con un edificio porticato, uno absidato e una grande piazza. La gloria della città si denota anche dai monumenti sepolcrali imponenti che accompagnano il viaggiatore, ora come un tempo, andando verso Servigliano.

Dopo l’età romana

Con la tarda antichità e il primo Medioevo si ebbe l’abbandono di Falerio Picenus e la popolazione cercò rifugio in luoghi riparati: erano i tempi delle invasioni barbariche, ma anche di un potere centrale in crisi, non più in grado di gestire emergenze sanitarie, garantire la sicurezza della popolazione, in balia di mutamenti economici, climatici e politici, un periodo in cui anche la manutenzione delle strade e degli edifici pubblici era molto difficoltosa. Falerio Picenus era sorta e fiorita nei secoli della pax Romana, un periodo florido e in cui non ci si sarebbero mai attesi episodi bellici, almeno non nella nostra penisola.

I tempi erano cambiati, era necessario trovare posizioni più sicure e difendibili, arroccate…Nacque così Falerone, in posizione tanto scenografica quanto sicura.

Fra Goti e Longobardi

Uno dei periodi di maggiore crisi fu rappresentato da un lungo e sanguinoso conflitto che oppose fra 435 e 453 d.C. i Bizantini e i Goti (la cosiddetta “guerra greco-gotica”). Fa specie pensare che i campi che vi circondano con tanta armonia oggi, quelle colline ornate di splendidi girasoli siano stati testimoni di una violenza inaudita che mise in grave crisi tutta la penisola e anche la regione Marche.

La vera fine dell’Antichità è da molti storici e archeologi identificata con l’arrivo in Italia dei Longobardi, questa popolazione originaria della penisola dello Jutland (Danimarca) arrivò a conquistare gran parte della penisola (e dà ancora oggi il nome alla regione Lombardia) e ha lasciato chiari esempi della sua diffusione a Falerone.

Che Falerone abbia avuto un passato longobardo importante è certo, ma la ricerca deve ancora fare molto in questo senso. Uno dei documenti più importanti è rappresentato dalla famosa stele di Volveto. Si tratta di una lastra sepolcrale romana, riutilizzata, sempre come pietra tombale appunto per tal Volveto, e che poi ha visto una terza vita (prima della musealizzazione) come mensa d’altare. Volveto era un funzionario importante nella gestione del territorio in età longobarda e l’epigrafe menziona niente meno che re Desiderio (757-774 d.C.) e suo figlio Adelchi, proprio quell’Adelchi che tutti abbiamo imparato a conoscere grazie al Manzoni. L’epigrafe si data al 770 d.C. e reca la più antica menzione nota del Ducato di Fermo, istituito proprio da Desiderio per limitare gli appetiti espansionistici dei ducati di Spoleto e Benevento.

Falerio Picenus: un cordone ombelicale inestricabile

Dopo i secoli di abbandono l’area di Piane, ritrovate le condizioni di stabilità e sicurezza, fu occupata nuovamente dalla popolazione, vista la sua posizione estremamente favorevole per le comunicazioni e i commerci, ma scarsamente difendibile.

Erano verosimilmente sempre rimasti in vista, per quanto in parte crollati, il teatro, l’anfiteatro e i Bagni della Regina; certamente, lavorando i campi, emersero altre testimonianze della città romana, materiali utilizzati dai nuovi abitanti come elementi per costruire le proprie abitazioni.

Vediamo ancora oggi elementi architettonici e frammenti di epigrafi albergare fra le case più antiche del paese, ma si conservano straordinarie testimonianze ottocentesche/inizio novecentesche con commoventi fotografie di famiglia e, sullo sfondo, pareti ricche di reimpieghi romani. A testimoniare il legame imprescidible, allora come oggi, fra gli abitanti e il loro glorioso passato.

Numerosi studi infatti dimostrano come la pratica del reimpiego dei materiali antichi sia sicuramente nata inizialmente in una visione utilitaristica, legata alle necessità contingenti, ma nasconda sempre significati più profondi, quasi una ammonizione lapidea: “Ricorda che sei stata una grande città”.

Storia delle ricerche

Come abbiamo visto, Falerio Picenus potrebbe avere un passato preromano che però resta tuttora indiziario, divenne un agglomerato romano di una certa importanza in età triumvirale, ma tale centro fu surclassato dai monumenti qui voluti da Augusto e dai suoi successori quando il primo imperatore di Roma decise di insediare qui un gruppo di suoi veterani della battaglia di Azio e di fare di Falerio Picenus una Colonia.

Per ricavare terreni da affidare ai nuovi venuti, Augusto ne dovette però sottrarre alla vicina Fermo e nacque una disputa secolare! La nascita dell’Archeologia faleriense è proprio legata a questo episodio, con la scoperta nel 1595 di una lunga tavola bronzea iscritta (il cd. “rescritto”) in cui l’Imperatore Domiziano (81-96) cercava di mettere la parola fine allo scontro fra Falerienses e Fermani sulla gestione di una serie di terreni non assegnati durante le operazioni di risistemazione del territorio. La disputa non si risolse (anzi fu coinvolto qualche anno più tardi Plinio il Giovane come avvocato di parte Fermana!), ma questo documento importantissimo decretò la nascita dell’interesse anche papale sul sito: la tavola fu donata a Papa Clemente VIII che promosse i primi scavi (in verità sterri poco documentati) sull’area, condotti dal cardinale Pietro Aldobrandini. Dopo due secoli di pausa, le ricerche ripresero soltanto nel 1777 sotto Papa Pio VI (1775-1799) che si concentrò in modo particolare sul teatro, considerato, a ragione, estremamente promettente visto lo stato di conservazione eccezionale delle sue strutture: all’epoca si vedeva ancora il terzo ordine della cavea e l’interno era ancora decorato di marmi e si conservavano persino le decorazioni bronzee, incredibilmente sopravvissute alla fame di metallo della tarda antichità e del primo Medioevo. I rinvenimenti più interessanti furono trasportati a Roma per finire al museo Pio Clementino, uno dei principali nuclei dei Musei Vaticani. Anche in questo caso, lo scopo delle ricerche era trovare bei materiali e non ricostruire la storia di Falerio Picenus; quando gli scavatori non ritennero più vantaggioso lo scavo, abbandonarono il sito.

Nell’Ottocento le ricerche ripresero ad opera di due fratelli fermani (ma di origine faleronese), Gaetano e Raffaele De Minicis che ripresero gli scavi nel 1836, con scopi più nobili che nel secolo precedente: per ridare gloria all’antica città romana e per fornire nuovi dati agli studiosi di architettura antica. Le operazioni coinvolsero anche l’anfiteatro e altri edifici della città, ma si focalizzarono proprio su quel teatro che gli scavatori Settecenteschi avevano ritenuto ormai “esaurito” e colpirono nel segno! Rinvennero epigrafi, tre statue in marmo di divinità, due telamoni (la versione maschile della cariatide), diversi elementi architettonici e frammenti di rivestimenti di colonne. Questi reperti andarono a costituire il museo privato dei De Minicis (museo non del tutto lecito, dato che questi scavarono senza autorizzazione pontificia e, colti in fallo, dovettero promettere di farne un museo sì, ma a Falerone, non in casa propria a Fermo!) che fu presto smembrano dal nipote Pietropaolo e ora abbiamo frammenti di Falerio a Falerone e Fermo, ma anche ad Ancona, Firenze, Arezzo, Genova e persino al Louvre di Parigi!  Sul campo seguirono decenni di scoperte fortuite, ma non di ricerche sistematiche sulla città o puntuali su un suo aspetto/edificio, fino all’incessante attività di Pompilio Bonvicini a partire dagli anni cinquanta del Novecento. Questi, pur non avendo una formazione da archeologo accademico, ha raccolto moltissime e preziosissime testimonianze di un paese che stava cambiando e che rischiava di cancellare il proprio passato con uno sviluppo non controllato; insignito anche del titolo di Ispettore onorario della Soprintendenza, portò avanti decine di ricerche archeologiche e d’archivio ancora oggi preziose. Infine, dopo importanti lavori di sintesi (come quello di L. Maraldi), e alcuni lavori di dettaglio su singoli aspetti della ricerca (es. quello di G. Paci e G. Montali sul teatro; G. Paci che raccolse vari studi in un prezioso volume del 1995; la proposta di ricostruzione tridimensionale del teatro da parte di I. Váli e Z. Ordasi, in collaborazione con S. Cecchi), le ricerche sono ricominciate nel 2021 grazie ad una convenzione sottoscritta dal Comune di Falerone con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Regione Marche e l’Università di Bologna (F. Grilli, E. Giorgi, con la collaborazione di P. Storchi). Un progetto di ricerca e valorizzazione che ha portato alla documentazione raffinatissima tramite rilievi accurati dei monumenti principali della città e all’elaborazione, dopo un attento studio, di strumenti per la loro fruizione anche a fini turistici, alla ripresa degli scavi archeologici e, tramite le scoperte avvenute con la lettura delle anomalie da fotografia aerea, a una nuova lettura della città romana.

Team di Lavoro:

Soprintendenza: F. Belfiori, F. Grilli, T. Sabbatini

Unibo: F. Carbotti, V. Castignani, E. Giorgi, G. Guarino, F. Pizzimenti, P. Storchi (poi Unipv).

Liberi Professionisti: P. Blockley, G. Canuti, G. Mete, L. Tampieri

Team I campagna di scavo: A. Brunacci, A. Brusa, I. Garbelli, S. Tarini, G. Vignaroli

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